di Etalide Efesto su Il Cibernetico
Si è proprio diffusa la voce che le ideologie siano crollate. Nessuno compra più una tessera al supermercato delle idee politiche e solo pochi nostalgici bazzicano i partiti, raramente per motivi edificanti. La politica era la quintessenza della comunità ed è diventata puro individualismo. Non si premiano più le visioni della società futura. Si fanno solo «piccoli passi»: cause, battaglie, iniziative.
Senza grandi narrazioni, i «piccoli passi» aggregano masse indistinte. Senza troppo impegno. Talvolta con un solo click. Spesso lasciano il tempo che trovano.
È questo il risultato del «crollo delle ideologie»? Ma è davvero così?
Per me le ideologie non sono crollate; solo un particolare tipo di ideologia lo è.
Tutti gli -ismi che ha prodotto la storia umana dalla Magna Charta ai giorni nostri, più che ideologie erano narrazioni. Narrazioni di un mondo che una volta raggiunto l’obiettivo avrebbe concesso grandi beni a tutta l’umanità, o almeno a una parte di essa.
Buttata via l’acqua sporca degli -ismi, delle ideologie narrative che hanno impestato il Novecento, sgorgato lo scarico puzzolente della società dai residui degli ideologismi, ci rimane il panorama dissestato e macinato di questi crolli. Cosa ci rimane?
I paesi tradizionalmente socialisti, sono anche liberisti, quelli decisamente autoritari sembrano anche un bel po’ democratici e si trova sempre un po’ difficile distinguere nei fatti gli esaltati comunisti da quelli fascisti, e via dicendo.
A furia di aprirsi all’altro, ogni ideologia narrativa s’è slabbrata e tutto va sufficientemente bene. Basta che funzioni!
Ma alla fin fine, ciascuno sembra autorizzato ad escludere chiunque non gli piaccia, a la cárte. Ognuno è il discriminatore di qualcun altro. Basta non dire discriminare, che fa brutto allora usiamo ‘unfolloware’ e tutto si risolve.
Se tutti sono tutto, non potendo vivere con tutti, viviamo solo con quelli che ci piacciono. Perché dovremmo infastidirci a tenere nella nostra «bolla» chi non ci piace? Facciamo selezione, ora che si può.
Ma questa è una ideologia!
Qualcuno può anche non avergli dato un nome, ma qui ciò che conta è che questa ideologia è perfettamente operativa.
Non ci sono tessere di partito da comprare, non ci sono professioni di fede da fare. Basta operare in modo da separare, selezionare, scacciare dalla nostra vita i fastidiosi. Nessuno si spreca ad inventare un -ismo per dare un nome a questo, ma -ed è questo il punto del discorso- tutti quelli che costruiscono una app sostengono esplicitamente questa «ideologia».
Alcuni lo dicevano già molti anni fa. Si parlava di (non) etica dei giardini recintati (walled garden) ma nessun dibattito narrativo può competere con una ideologia operativa che si esercita con uno swipe del dito o un click del mouse.
E questo è solo un esempio.
Un altro? Il semplice acquisto di uno smartphone rappresenta l’adesione ad una ben precisa ideologia non narrativa.
Che tu sia comunista, fascista, liberale, qualunque cosa tu sia insomma, con quello smartphone in mano sei in un contesto in cui la tua ideologia, quale che essa sia, non è altro che un mezzo di produzione di quel prodotto commerciale che è la sorveglianza di te e del tuo ambiente e la deduzione delle tue azioni future e quelle dei tuoi amici, da vendere al migliore offerente pronto a soddisfare i tuoi bisogni e quelli della tua rete (possibilmente ben modellati e indotti verso qualcosa di probabilmente molto inutile).
Le ideologie non sono morte, sono morte quelle ideologie narrative che mettevano al centro l’uomo nella sua comunità. Per sbagliate o superficiali che fossero, queste ideologie narrative, anche le peggiori e foriere di grandi errori e mali, si costruivano tutte a partire dalla naturalezza del consesso umano. Erano sempre aggregatrici. A volte hanno aggregato molto male, non c’è dubbio.
Persino nell’anarchismo e nel libertarismo, la dimensione intersoggettiva è stata sempre centrale.
All’opposto, le moderne ideologie operative hanno come obiettivo la disgregazione del rapporto intersoggettivo disperdendolo in una quantità di relazioni superficiali ed indistinte. Nessuno chiede l’iscrizione al partito dei solitari, ma non riusciamo a fare a meno di partecipare da soli.
Ogni smartphone, ogni social, non importa quanto open source possa essere, è uno strumento individualizzante. Ti individua, molto più di quanto non ti realizza come individuo, attraverso i tuoi balletti su TikTok o foto su Instagram.
Ti riassume in quella impronta digitale che è il prodotto in vendita sulla rete. Perché tu ancora non conosci i tuoi bisogni di domani, ma lo sa benissimo il machine learning che ha fatto di te finalmente l’uomo medio di Quetelet.
Pochi tecnici si pongono questioni etiche: basta che funzioni!
Nessun economista critica un modello così efficiente per portare il prodotto al consumatore: basta che venda!
Poche intelligenze artificiali applicate alla profilazione di massa e altri obiettivi di normalizzazione dell’umano oggi troverebbero giustificazione nell’imperativo categorico kantiano «Agisci in modo da trattare l’uomo […] sempre anche come fine, non mai solo come mezzo». Se avesse un po’ di humor, l’intelligenza artificiale sorriderebbe per l’ironico malinteso dovuto alla omissione in quei puntini sospensivi della precedente frase: «… così in te come negli altri … ». L’intelligenza della macchina, che è mezzo e quindi non uomo in sé, sarebbe forse autorizzata a trattare l’uomo piuttosto come mezzo e non come fine?
I grandi della rete stanno dicendo di sì oppure, in modo interessato, non si pongono il problema.
Bene, dobbiamo porglielo noi. Ancora umani.
Caro, ti basta questa come ideologia per lavorarci i prossimi 20 anni?
Etalide