Nelle prossime settimane vicende interne alla Spagna agiteranno le acque tradizionalmente calme, e a volte paludose, dell’euro politica. Fatti allarmanti stanno accadendo in questa che è una delle principali democrazie europee e devono impensierire tutti: convinti democratici, difensori delle libertà e sostenitori dello stato di diritto.
Un po’ di memoria: la Spagna entra nella Comunità Europea (come si chiamava allora) nel 1986. Da quel momento, e molto anche per merito di quella decisione, il paese inizia un processo di trasformazione economica e sociale che lo porta a diventare una delle democrazie occidentali più riconosciute (è al 22˚ posto, 7 sopra l’Italia nel Democracy Index dell’Economist).
Questo successo, associato a quello economico e della creazione degli asset turistici, non è stato capace però di superare antiche rivendicazioni autonomiste di alcuni regioni. La questione catalana, in particolare, si è riaccesa negli ultimi anni con inusitata evidenza.
La Spagna ha una lunga tradizione di indipendentismi, autonomismi e separatismi a diversa intensità. L’Aragona si batte per il riconoscimento della propria cultura, ma non desidera una secessione. L’indipendentismo nei Paesi Baschi fu caratterizzato da una lunga scia di sangue fino a quando, il 20 ottobre 2011, i terroristi dell’ETA (acronimo per Euskadi Ta Askatasuna) cessarono la lotta armata, che è stato calcolato ha causato, in quarant’anni la morte di oltre 800 persone.
Da alcuni anni però l’indipendentismo salito alla ribalta internazionale è quello catalano, con la nota vicenda del controverso referendum sull’indipendenza della Catalogna del 1° ottobre 2017. Indetto dalla Generalitat de Catalunya in base ad una legge del Parlamento Catalano che prevedeva che il risultato avesse natura vincolante anche senza il raggiungimento del quorum. Ovviamente la reazione del governo spagnolo in carica fu immediata e giustificata dalla stessa Costituzione della Spagna che non consente di votare sull’indipendenza di alcuna regione spagnola. Sono seguiti processi, arresti, condanne, anche molto pesanti e fughe all’estero di esponenti catalani.
Ma la storia non finisce così, perché nel frattempo vengono eletti nel maggio del 2019 al Parlamento europeo 4 rappresentanti catalani indipendentisti, uno già in carcere al momento dell’elezione, Oriol Junqueras, gli altri 3 in esilio Carles Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsati.
Dopo una lunga vicenda che abbiamo già raccontato la Spagna chiede all’Unione europea di revocare l’immunità da parlamentari europei ai tre europarlamentari catalani. Il Parlamento avvia le procedure ed una Commissione giuridica composta di Parlamentari europei, riunitasi il 23 febbraio 2021 vota la richiesta di revoca dell’immunità del governo spagnolo. Risultato: 15 voti a favore, 8 contrari e 2 astenuti. Un primo passo, quindi, verso la revoca.
Tra un mese il Parlamento dovrà esprimersi. Basterà la maggioranza semplice a determinare il risultato.
Le cose non si mettono bene per Carles Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsati. I tre principali partiti (PPE, S&D e Renew Europe) del Parlamento europeo, che detengono più della metà dei seggi nell’emiciclo, si sono opposti a lungo alla protezione concessa ai politici catalani.
C’era stato già qualche segnale, nei giorni precedenti alla decisione della commissione, che le cose si stessero complicando per i Catalani, infatti sulla stampa spagnola erano comparse delle anticipazioni, sostenute da notizie filtrate o forse da semplici auspici che annunciavano la decisione poi presa.
Di cosa sono accusati i tre MEP catalani dal governo spagnolo?
Fondamentalmente di sedizione ed uso improprio di fondi pubblici, cioè di aver tentato di rovesciare i poteri dello stato, di rivolta, sommossa, sollevamento contro l’ordine costituito e di aver utilizzato a questo scopo soldi pubblici. In realtà i tre MEP catalani erano lo stato, nella loro qualità di legittimi rappresentanti, democraticamente eletti della Catalogna. E la Generalitat de Catalunya che ha indetto il referendum era un organo istituzionale legittimo. Infine la violenza è stata esercitata esclusivamente dalle forze di polizia spagnola nei confronti dei cittadini inermi scesi in piazza per chiedere il rispetto del risultato del referendum. In soldoni il potere dello stato spagnolo contro l’espressione democratica della volontà popolare.
La commissione parlamentare europea ha motivato così la sua decisione: poiché gli eventi per i quali sono accusati hanno avuto luogo prima che fossero eletti al Parlamento europeo l’immunità non si applica, poiché essa sarebbe legata solo ed esclusivamente alle attività di parlamentare europeo.
Una ben strano concetto di immunità: suscettibile al tempo e che non tiene conto del perché esiste l’immunità dei componenti eletti di un organo legislativo. L’immunità serve a garantire la libertà nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, contro tutte le pressioni, soprattutto da parte degli altri poteri dello stato. L’immunità ha una doppia funzione: sostanziale e processuale. La funzione sostanziale garantisce la libertà di voto ed opinione al parlamentare, quella processuale garantisce la libertà del parlamentare affinché possa esercitare il proprio mandato. Questa seconda quindi deve impedire che il parlamentare possa essere privato della libertà personale a prescindere se i fatti per i quali viene accusato risalgano ad un periodo precedente.
C’è infine un ulteriore dato da evidenziare in questa vicenda, la commissione è stata presieduta dall’eurodeputato spagnolo Vázquez Lázara. Curioso, vero?
Prontamente i tre Mep catalani hanno dichiarato che non si arrenderanno facilmente. In questi giorni ed in vista della votazione in plenaria, prevista per il mese di marzo, stanno distribuendo a tutti i parlamentari europei un breve scritto in cui sono raccontate le ragioni per le quali il Parlamento dovrebbe respingere la richiesta di revoca dell’immunità.
Ma torniamo all’Europa e ai suoi problemi. Appare chiaro che ora la questione non è più l’indipendentismo catalano ma piuttosto l’indipendenza delle istituzioni europee rispetto alle richieste dei governi nazionali. L’Europa unita sconta la debolezza del suo Parlamento, unico istituto eletto direttamente dai cittadini europei le cui prerogative e capacità di incidere sulle scelte sono da sempre residuali. Una battuta cattiva ma purtroppo vera afferma che se una mattina ci svegliassimo, noi tutti cittadini europei, in una Europa in cui il Parlamento europeo fosse stato abolito e nessun media lo ri-portasse faremmo fatica ad accorgercene.
Ma la vicenda catalana pone un’altra questione che va anche oltre il voto sull’immunità dei MEP catalani e riguarda l’uso violento del potere che caratterizza sempre più l’azione anche dei governi democratici, anche quelli con tutte le Istituzioni ben messe, belle carte costituzionali, elezioni svolte con regolarità e un sistema di informazione plurale. Come è stato efficacemente detto: –Vediamo come venga utilizzata, per disperazione direi, dallo Stato, la violenza nelle varie manifestazioni che si hanno in più parti del mondo … fino anche alla Spagna dove una rivendicazione non violenta, portata avanti attraverso uno strumento referendario, attraverso il voto, ha incontrato la violenza (cfr. Matteo Angioli, Trascendere la legalità, affermare il diritto, in Il viaggio della speranza a cura di Lorenzo Cera Valla, Antonio Coniglio, Sabrina Renna, giugno 2020). Possiamo ancora accettare che la risposta ad una istanza politica, per quanto “illegale”, ossia nelle procedure non conforme al dettato legale dello Stato, ma che non ha mai usato la violenza possa essere soffocata con tanta eccezionale durezza e violenza da parte del potere costituito? Perché continuiamo ad accettare la violenza dello Stato, di tutti gli Stati, come unica risposta alle istanze che provengono dai cittadini e in funzione del “mantenimento dell’ordine costituito”?
È evidente che le richieste indipendentiste di una parte dei Catalani confliggono con gli interessi dello Stato nazionale spagnolo e che questo debba necessariamente difendere l’integrità dei suoi confini, ma in questa diatriba che si trascina oramai da anni sembra che ambedue le parti abbiano deciso di non decidere e soprattutto di non provare la via del negoziato.
Da una parte il pugno di ferro della giustizia spagnola che condanna a pene durissime esponenti politici che non si sono macchiati di alcuna azione violenta ed in maniera pervicace cerca di processare con l’intento di carcerare anche quelli che le sono sfuggiti, dall’altro i separatisti catalani che perseverano in una non-strategia incapace di fargli fare un solo passo in avanti nella giusta direzione.
Le ultime elezioni in Catalogna hanno riproposto una situazione ormai cristallizzata con i tre partiti separatisti che prendono più o meno sempre la stessa percentuali di voti, maggioritaria ma che non sfonda.
Vent’anni fa, era il 2001 L’Unione europea contribuì alla resa dell’ETA. L’11 settembre di quell’anno l’ETA fu dichiarata, in sede europea, organizzazione terroristica, di fatto schierando l’intera Europa al fianco dello Stato spagnolo. Di lì a poco, come abbiamo ricordato, ci fu la resa ed il successivo smantellamento dell’organizzazione operativa dell’esercito terrorista basco. Ma quel separatismo aveva le mani lorde di sangue.
Ora le mani impegnate nell’uso eccessivo ed ingiustificato della forza sono quelle dello stato spagnolo, del suo sistema giudiziario, del suo apparato di mantenimento dell’ordine interno. Il voto sull’immunità dei MEP catalani, al di là dei tecnicismi messi in campo dalla commissione giuridica che si è espressa, dovrebbe tenere conto anche di tutto questo, di quanta proporzione ci sia stata nella risposta dello stato spagnolo agli avvenimenti del 2017, di quanta volontà persecutoria ci sia ancora oggi nei confronti dei tre esponenti catalani, di quanto ancora e per quanto tempo l’Europa vorrà continuare a non riflettere sui virus della violenza e dell’autoritarismo che molti governi della sua Unione portano in pancia.