VENTI E DEMENTI DI GUERRA

Il mondo è attraversato da venti di guerra che scuotono le sue fondamenta. L’Europa nata per trasformare il continente, e modellare il mondo, da campo di battaglia a spazio di cooperazione e sviluppo condiviso si ritrova oggi a prepararsi per tornare protagonista in uno scenario da “guerra delle civiltà”, rispolverando logiche di blocco, riarmo e contrapposizione muscolare. A soffiare su queste fiamme non sono soltanto le potenze globali che giocano la loro partita di dominio, ma anche una schiera di dementi di guerra, incapaci di apprendere la lezione della storia, che invocano sovranità, orgoglio nazionale, dazi e autarchia come risposta a una realtà globale complessa.

Il recente dibattito sulla creazione di un esercito europeo sotto una logica eminentemente bellicista, più volte rilanciato dai vertici delle istituzioni comunitarie e da alcuni governi nazionali, è il simbolo di questa deriva. Da Ursula von der Leyen, che chiede di raddoppiare la produzione di munizioni, al presidente Macron che insiste su una “autonomia strategica” da intendere sempre più come muscolare risposta militare alle crisi, fino alle continue pressioni di alcuni governi dell’Europa orientale, tutti sembrano convinti che la strada da percorrere sia quella dell’escalation.

Ma un’Europa che torna a concepirsi come fortezza armata non è più l’Europa di Spinelli, Schuman e Monnet. Semplicemente questo. È il tradimento dell’idea stessa di Unione Europea, costruita sull’equilibrio tra libertà, giustizia e benessere condiviso, un modello che ha reso l’Europa una superpotenza civile capace di attrarre con la forza della sua cultura, della sua scienza e delle sue opportunità economiche. Non è un caso che, secondo i dati Eurostat e OCSE, nei decenni passati l’Unione sia stata un motore di crescita, conoscenza e innovazione, contribuendo a elevare i livelli di istruzione, alfabetizzazione e scambio culturale ben oltre i confini europei.

Oggi però questa eredità è messa in crisi proprio da chi, negli anni scorsi, ha costruito la retorica della “sovranità europea” contro gli stessi alleati transatlantici che hanno garantito la sicurezza, l’abbondanza tecnologica e l’ordine economico globale da cui l’Europa ha tratto beneficio. Gli stessi promotori di una visione neo-mercantilista, chiusa e miope, hanno sabotato ogni possibilità di creare un sistema economico integrato tra stati membri, una giustizia europea realmente comune, una difesa coordinata, una fiscalità condivisa capace di reggere la sfida delle grandi potenze. E ora, senza aver costruito una vera sovranità politica e culturale, vorrebbero erigere l’ennesima macchina da guerra, illudendosi di poterne controllare la direzione.

Noi obiettiamo. Non siamo pacifisti ad ogni costo: sappiamo che la libertà e la giustizia richiedono talvolta la forza per essere difese. Ma quella forza è credibile solo se fondata sulla ragione, non sulla paura e sull’isteria sovranista. La civiltà europea, che ha fatto della memoria storica la sua più grande ricchezza, dovrebbe sapere che i tamburi di guerra non suonano mai da soli: sono sempre accompagnati dalla censura, dalla repressione e dalla costruzione di nemici immaginari, dentro e fuori i confini.

L’Europa ha davanti a sé una scelta: può tornare a essere avanguardia di civiltà, luogo di dialogo multilaterale e laboratorio globale di un nuovo modello di sviluppo condiviso; oppure può scegliere di diventare l’ennesimo birillo sul biliardo delle potenze globali, pronta a essere abbattuta da colpi provenienti da Washington, Mosca, Pechino o chiunque voglia strumentalizzare la sua debolezza politica per guadagnare spazio e risorse.

Noi sappiamo da che parte stare: dalla parte di un’Europa civile, razionale, capace di affrontare le sue crisi con strumenti di cultura, scienza e diplomazia, senza cedere alla follia incivile di chi crede che la guerra sia un destino inevitabile. E continueremo a denunciare questa deriva, opponendoci a chi vuole trascinare l’Europa sul sentiero della distruzione, travestita da orgoglio patriottico.

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