Il costo del sollievo
Quando si toglie la voce a gruppi politici che si ispirano a ideologie basate sull’autoritarismo, la sopraffazione e il suprematismo, allora la reazione più comune è quella di sentirsi sollevati.
Il compito di chi si occupa di politica e, in particolare, di chi vuole che la politica si occupi delle tematiche legate alla libertà di comunicazione, alla consapevolezza tecnologica, alla battaglia contro la sorveglianza e a quella contro la profilazione degli utenti, è quello di andare oltre l’estemporanea sensazione di sollievo e di capire perché qualcuno ci ha voluto regalare il sollievo; e soprattutto se quel qualcuno ce l’ha veramente regalato o se non abbiamo invece appena sottoscritto un contratto oneroso e colmo di clausole di cui ci sfugge il significato.
Giusto gioire?
Il 9 settembre ha fatto scalpore la chiusura di alcune pagine Facebook e Instagram riconducibili a Casa Pound, Forza Nuova e ad altri gruppi di destra; eppure quello che ha stupito gli osservatori più smaliziati è stato l’unanime consenso che l’iniziativa ha raccolto.
Quando è stata lanciata la notizia, la pagina Facebook del Partito Pirata ha voluto limitarsi a condividere, commentando con un semplice “Già!“, un post di Vittorio Zambardino ma, le reazioni di chi seguiva la pagina sono state estremamente forti; la posizione più comune la si può riassumere in una semplice domanda: “che fate? ora vi mettete dalla parte dei fascisti?”.
Il punto della questione passato in secondo piano
Lo staff che si occupa della pagina facebook ha quindi modificato il post aggiungendo due nuovi elementi:
– la citazione dell’articolo 9 del programma europeo del Partito Pirata sulla necessità di salvaguardare il diritto di parola dal potere delle aziende tecnologiche
– un’analisi testuale del post di Zambardino.
Il nostro gruppo, che si occupa della comunicazione social, è quindi ingenuamente (e, forse, con un po’di presunzione..) caduto nella trappola della polemica fascismo e antifascismo, polemica che riteneva di poter gestire agevolmente (la beata ingenuità dei razionalisti..) ma che, come al solito riesce a riempire ogni spazio di riflessione togliendo voce ai due punti fondamentali di quella discussione.
Prima di ragionare su essi, però è utile sottolineare che ormai (tranne noi del gruppo comunicazione 🙂) tutti sanno che in qualsiasi discussione, i temi polarizzanti sono quelli che provocano più deragliamenti logici. Ogni riferimento al fascismo in una discussione ha l’effetto di far precipitare (in senso strettamente chimico) una parte degli interlocutori in fondo alla soluzione liquida. A quel punto diventa impossibile ricomporre la discussione. Diventa perciò facile utilizzare questa “proprietà chimica” per creare “un’arma chimica” altamente tossica per la discussione.
Torniamo però quindi ai due punti fondamentali della critica alle censure operate dai social network:
– Il processo decisionale di queste aziende ci è sconosciuto
– se la censura pubblica è la risultante di un processo di cui i cittadini possono conoscere il meccanismo (gli attori, gli atti, i tempi di intervento, le motivazioni, le fonti giuridiche, le responsabilità eventuali in caso di abuso) oggi festeggiamo l’ingresso in città di un esercito di cui ignoriamo la provenienza delle truppe, le azioni militari, la data di inizio delle ostilità, le ragioni dell’entrata in guerra, la cornice giuridica, il tribunale di guerra.
Il tribunale di guerra
Oggi, però, possiamo avere qualche elemento in più riguardo al “tribunale di guerra”.
Il 17 settembre, mentre il suo fondatore e capo ne anticipava i punti fondamentali, Facebook ha pubblicato un post sull’istituzione di una “alta corte”, un organismo indipendente (aziendalmente parlando) deputato a deliberare in merito alle contestazioni sulla moderazione.
Si tratta di un’iniziativa che può essere letta singolarmente oppure nel quadro dell’interessante attività di lobbing che il patron di Facebook sta portando avanti ai massimi livelli.
Quest’anno infatti ha avuto una certa risonanza l’incontro avvenuto con Emmanuel Macron per annunciare la creazione di una sorta di Autorità Garante dei Social Network.
Da una parte, infatti, la Francia si propone come il paese capofila che inventa il “regolamento europeo dei social network” per un maggiore controllo dei contenuti pubblicati, proponendo la creazione di un’autorità amministrativa indipendente in ogni paese europeo.
A tal proposito, ci permetteremmo di ricordare che esiste già nell’Unione e in ogni suo stato un’authority indipendente perfettamente deputata a esercitare un controllo stretto su una piattaforma informatica nata per gestire principalmente dati personali e interazioni basate su dati personali tra profili costituiti solo da dati personali. Ma oggi niente spoiler…
La conferenza (paritaria?) Stati-Facebook
Sono però molto interessanti le dichiarazioni rilasciate dal signor Facebook dopo l’incontro con il presidente francese: ci dice infatti che i suoi sistemi già identificano automaticamente il 65% delle manifestazioni di odio prima ancora che vengano segnalate ma la sede più appropriata per prendere decisioni di ordine differente (come gestire contenuti “non illegali” ma “potenzialmente dannosi”) è questa sorta di “conferenza Stati-Facebook”. La sua convinzione è che questo sia un ambito in cui le aziende non dovrebbero prendere queste decisioni da sole; dovrebbe esserci invece un processo pubblico con i “governi democraticamente eletti (sic)”.
L’approssimazione frettolosa con cui il neoinsediato Parlamento Europeo ha approvato il 19 settembre la risoluzione sulla memoria europea può essere letta in relazione a questa lenta, attenta e inesorabile strategia? La risoluzione del Parlamento è balzata agli onori della cronaca per una presunta eliminazione dei simboli del comunismo (lettura oggettivamente eccessiva e tendenziosa) ma costituisce in effetti un punto fermo nella condanna della memoria dei totalitarismi.
In un post pubblicato su Facebook il parlamentare PD Brando Benifei ha spiegato “for dummies” quanto la gestazione del provvedimento sia stata faticosa e destinata a un compromesso ricco di imperfezioni ma, come è risaputo, questa è la sorte della maggior parte delle risoluzioni di carattere programmatico approvate dai parlamenti.
Facebook gioca d’anticipo?
Il punto è che, mentre la discussione parlamentare era ancora in corso, un’azienda privata (sempre la stessa, certo, ma questo non è il punto) ha deciso di cancellare le pagine di movimenti politici tollerati dalle leggi nazionali ma sicuramente rientranti nelle definizioni della risoluzione europea; e, quel che è peggio, lo ha fatto per ragioni ovviamente non conoscibili attraverso fonti che non siano quelle della stessa azienda.
Si è trattato quasi di un modo per far capire quanto, rispetto alle lungaggini parlamentari, l’azienda riesca a essere più efficiente anche rispetto alla gestione dei temi di carattere politico e ideologico. D’altra parte, la risoluzione europea potrà anche essere usata in futuro come una “licenza” di uccidere, un documento su cui basarsi per motivare la chiusura di pagine; a questo proposito, vengono registrate in questi ultimi giorni anche eliminazioni o limitazioni di pagine e profili riconducibili alla parola comunismo (per citarne un paio: Interisti Stalinisti e La destra del partito) o semplicemente pagine che citavano uno dei movimenti le cui pagine sono state oggetto del BAN.
Il punto perciò è quanto i nuovi protagonisti del “dispotismo illuminato” si stiano sovrapponendo alle pubbliche prerogative di esercizio della giustizia e dell’ordine pubblico. Inizialmente in modalità collaborativa, certo, e limitandosi al massimo ad anticipare di poco le mosse dei parlamenti. Ma con quale potenza di fuoco lo faranno in futuro?
Sta forse nascendo una nuova forma di Stato-non-Stato tra le maglie della inefficiente dialettica parlamentare e delle difficoltà di integrazione delle normative tra stati?
E questo nuovo corso mondiale, in cui gli Stati stanno smettendo di parlarsi tra loro per rifugiarsi in un protezionismo miope, non è forse la situazione migliore per far proliferare i giganti tecnologici che ancora di più potranno contrapporre la propria efficienza globale rispetto a un mondo di nazioni chiuse nei propri confini?
E, ancora, l’aver sparato, all’alba della risoluzione europea, questa prima bordata sul nemico “brutto e cattivo” per eccellenza (il fascista rimasto senza pagina facebook..) non sarà stato un “attacco chimico” della stessa sostanza già ricordata poco sopra? E, infine, questa bomba non sarà servita forse ad alzare il rumore di fondo e a tingere di Rosso e Nero tutta la scena per dimostrare quanto sia “sorda e grigia” l’aula dei nostri parlamenti?